In
collaborazione con: YahYa Sergio Pallavicini, dirigente della
CO.RE.IS (Comunità Religiose Islamiche)
giovedì 28 febbraio 2013
Cos’è l’apostasia?
Il
termine apostasia
letteralmente vuol dire stare lontano, staccarsi (dal greco
apò+stasis) e consiste nel rinnegare l’identità storica,
culturale e religiosa delle proprie origini. Quasi sempre quando si
parla di apostasia ci si riferisce al rifiuto del proprio credo
religioso per seguirne un altro o professare l’ateismo, sia da
parte di un civile che da parte di un ecclesiastico. Anticamente i
preti che abbandonavano il clero venivano perseguitati dalla chiesa e
colpiti dalla scomunica. Oggi la Commissione delle Nazioni Unite per
i diritti umani riconosce l’apostasia come un diritto civile in
nome della libertà di espressione e di credo. Tuttavia in alcuni
paesi islamici integralisti l’apostasia (chiamata ridda)
è ancora considerata un reato e il murtadd,
cioè l’apostata, viene punito se la sua scelta è volontaria, e
non forzata, cioè causata da grave pericolo o insanità mentale. Se
non si redime a seguito di un periodo di reclusione, affronta la pena
di morte. Quest’applicazione giuridica è però da considerarsi in
disuso nella maggior parte del mondo musulmano.
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